Sinoué Gilbert - 2010 - Grida di pietra by Sinoué Gilbert

Sinoué Gilbert - 2010 - Grida di pietra by Sinoué Gilbert

autore:Sinoué Gilbert [Sinoué Gilbert]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
editore: Neri Pozza
pubblicato: 2013-03-14T23:00:00+00:00


Parte III

15.

La malinconia è la sofferenza dell’anima.

Anonimo

Parigi, 2 febbraio 1966

Erano passati tre anni dalla morte di Jean-François. Dunia, che aveva preso il lutto negli abiti e nel cuore, non sembrava affatto intenzionata a lasciarlo.

Aprì le persiane. Sopra i tetti, il cielo era grigiastro. I passanti andavano e venivano, indifferenti, e suo malgrado lei provò rancore verso di loro, perché non condividevano la sua disperazione. Dopo la scomparsa del marito, non cessava di ripetersi che i momenti di felicità non sono altro che momentanei silenzi dell’infelicità.

Tornando al divano da cui si era alzata, il suo sguardo incontrò il grande specchio appeso al muro. Dio, com’era invecchiata, come si sentiva appassita. Giunta alla fine della corsa. Era dunque solo lo sguardo che Jean-François posava su di lei ad averle conservato la giovinezza? Certamente, si è belli solo in quel che si risveglia nell’altro. Si è vivi davvero solo perché colui che ci ama ci rende vivi. Una volta finito l’amore, cosa rimane? Una stanza scura, pochi mobili, un deserto.

Ti amo ancora…

Quanto le mancavano le sue parole! Tutto di lui le mancava! Le mani, la voce, il respiro. Le sue crisi di malumore, le sue certezze infantili, il suo continuo interrogarsi.

La morte è una puttana.

Si lasciò cadere tra i cuscini e chiuse gli occhi, lasciando che il silenzio l’avvolgesse.

Fu il campanello dell’ingresso a risvegliarla dal suo torpore.

Andò ad aprire. Il portiere le consegnò la posta. Dunia ringraziò, tornò a sedersi e gettò distrattamente le buste sul tavolino. A che serviva aprirle, dato che non contenevano le parole di Jean-François?

Si rincantucciò in un angolo del divano e si immerse di nuovo nel silenzio.

Quanto tempo rimase così, completamente affranta?

Quando si decise ad alzarsi, l’orologio sul caminetto segnava mezzogiorno e mezzo. La governante stava per arrivare. Dunia si tirò su. Forse un goccio di brandy le avrebbe dato una sferzata.

Fu in quel momento che la sua attenzione venne attirata da una delle buste ammucchiate sul tavolo. Non fu tanto la grafia a colpirla, quanto il francobollo nell’angolo: un francobollo irakeno.

Chi mai poteva scriverle da laggiù? Non conosceva più nessuno. Erano cinquant’anni che viveva in esilio. Chi, allora?

Prese la lettera e l’aprì. Sull’intestazione lesse un nome e un indirizzo: “Fawaz el-Baghdadi, Quartiere Abu Nawas, Strada 62, Casa 8, P.O. Box 320, Baghdad”.

Fawaz el-Baghdadi? Non ricordava nessun amico o parente che portasse quel nome.

Si infilò gli occhiali.

Baghdad, 23 gennaio 1966

Cara signora,

non oso – non ancora, per lo meno – chiamarvi cara zia, e immagino la vostra sorpresa nel leggere le mie parole, per cui permettetemi di presentarmi: mi chiamo Fawaz el-Baghdadi.

Salma, la moglie del vostro defunto fratello, era la sorella di Faruk el-Baghdadi, mio padre. Voi dunque per me siete una zia acquisita. Nonostante abbiate lasciato l’Irak da molto tempo, sappiate che il vostro ricordo è rimasto sempre vivo nella famiglia, e il vostro nome è sempre stato pronunciato con affetto e rispetto.

Vivo a Baghdad e sono sposato con una donna meravigliosa, che mi ha dato – Allah sia lodato – due bambini, oggetto di tutto il nostro amore.



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